Nel pochissimo tempo che ho ultimamente, avrei voluto ritagliare pochi minuti per scrivere ben altro, ma invece voglio urlare il mio dolore immenso dalla pagina del mio blog perché l'ennesima donna uccisa a coltellate dal compagno depresso la conoscevo.
Con Erica abbiamo condiviso la prima maternità, durante alcuni incontri del corso preparto e poi dopo, durante un paio di casuali incontri in giro per la città.
Dieci anni meno di me, un caschetto strano avevo pensato, con la frangetta alta, viso asciutto, muscoli nervosi. Mi era capitato di pensare che forse faceva danza, o arrampicata. Sorrideva, diretta, anche con gli occhi. Le foto non le fanno onore e poi ormai a che servono. C’è tanta gente che sorride, ma lei era felice mentre parlava, le fioriva il viso, si muovevano ipercettibilmente le narici, l'energia la inondava quando parlavamo delle nostre adorate pance. Giovane e veloce, si capiva che viveva la maternità come un trampolino per afferrare la vita, felice di questa figlia, felice di vivere. Io mi sentivo allo stesso modo e avevamo goduto della reciproca felicità scambiando chiacchiere al volo, come quando ci si incontra per caso e ci si piace ma si sa che non ci si risentirà.
Lui depresso. Io se sto male chiedo aiuto, al massimo mi faccio del male. Ma non sfogo su altri il mio dolore. Tantomeno con quaranta (quaranta!) coltellate. Tanto folle da non rendersene conto? Non sarò io a deciderlo, ma il dubbio è lecito.
Mi sento un po' più sola. La piccola ha la vita segnata con un solco.
Non aggiungo altro ma non penso ad altro da giorni.
L'immagine viene da qui.
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